Vi abbiamo già parlato della Quarta rivoluzione industriale, e del ruolo che occuperanno le persone e i lavoratori in essa, in questo articolo. Si tratta di un dibattito quanto mai attuale, in cui si oppongono le posizioni di pessimisti e ottimisti.

Disoccupati a causa della tecnologia: pessimisti o ottimisti?

Quando si parla di tecnologie dall’intelligenza autonoma, spesso di avverte la paura che il lavoro umano possa, in futuro, essere marginalizzato o  minacciato dalle macchine. Tra aspettative e timori, potremmo dire che si siano venute a creare due diverse fazioni. Da un lato vi sono i pessimisti, convinti che la tecnologia aumenterà il già drammatico divario tra classi sociali e Paesi più o meno tecnologici. A loro si oppongono gli ottimisti che, pur non negando le possibili conseguenze disruptive, sottolineano come gli sviluppi tecnologici abbiano creato più posti di lavoro di quanti ne abbiano distrutti, portando ad un incremento dei compensi e del benessere. Nel nostro libro «Competenze e Formazione 4.0» abbiamo analizzato il pensiero e gli studi dei più importanti economisti mondiali, facendo emergere le diverse posizioni relativamente al ruolo che le nuove tecnologie avranno su lavoro e occupazione.

Numerosi studi suggeriscono come ci si possa sentire tranquilli in riferimento alla crescita del mercato e del versante occupazionale; allo stesso tempo, tuttavia, non dobbiamo essere ciechi di fronte ai potenziali rischi. Come afferma C.B. Frey, infatti:

Il punto non è fatalismo o pessimismo. E non è certo che sarebbe meglio rallentare il ritmo del progresso o limitare l’automazione. La rivoluzione industriale è stata l’inizio di una trasformazione senza precedenti di cui nel lungo periodo hanno beneficiato tutti. I sistemi di intelligenza artificiale potrebbero avere il medesimo potenziale, ma il futuro dell’intelligenza artificiale dipende da come gestiamo il breve periodo. Se cerchiamo di comprendere le sfide che ci attendono, invece di ignorarle nella convinzione che a lungo termine tutti ne trarranno vantaggio, allora siamo in una posizione molto migliore per plasmare il risultato.

Un’affermazione che ci trova assolutamente concordi. Il dibattito sulla tecnologia non dovrebbe ridursi a fazioni tra ottimisti e pessimisti, ma dovrebbe prendere in considerazione diverse variabili.

Riallocazione dei lavoratori, diseguaglianze, velocità di trasformazione e sviluppo

A parere nostro, sono quattro gli aspetti che devono essere presi in considerazione quanto prima:

  • La ricollocazione dei lavoratori
  • la diseguaglianza a livello sociale e la disparità salariale
  • le tempistiche di trasformazione;
  • la velocità di sviluppo.

Iniziamo dai primi due punti. Molte delle stime analizzate in merito all’occupazione e alla creazione di nuovi lavori sono rassicuranti. Bene, ma occorre chiedersi cosa ne sarà dei lavoratori che vengono lasciati indietro perché non possono o non riescono a ricollocarsi o ad aggiornare le loro competenze. Secondo McKinsey, entro il 2030 tra i 400 e gli 800 milioni di persone potrebbero trovarsi nella condizione di dover cambiare lavoro a causa dell’automazione. La sfida principale per imprese e Paesi sarà allora supportare la riassegnazione nel mercato di un numero elevato di lavoratori.

Di uguale importanza è la tutela di quei lavoratori che, sostituiti dall’automazione, riusciranno a trovare soltanto un’occupazione di livello inferiore alla precedente o dovranno accontentarsi di salari più bassi. E coloro che perderanno il lavoro in questa transizione? Come potranno essere attrezzati per cogliere le nuove opportunità? Le competenze di oggi non corrispondono ai lavori di domani e le conoscenze acquisite potrebbero rapidamente diventare obsolete. Ecco perché imprese e Paesi dovrebbero iniziare da subito a prendere in considerazione il problema della riassegnazione dei lavoratori nel nuovo mercato.

È responsabilità dei Governi e del mercato – ma anche nostra – creare le condizioni perché i lavoratori siano pronti al cambiamento. Sul fronte strategico e operativo, le imprese devono compiere uno sforzo ulteriore: tenere sempre attivi i processi di ricerca e sviluppo, così da mantenere in movimento il ciclo di trasformazione ed evitare quanto possibile momenti di ristagno in cui non si creano nuove attività né tanto meno nuovi lavori.

Arrivando agli ultimi due punti che abbiamo enunciato, una riflessione si impone sul tempo e la velocità della trasformazione. Molte ricerche rimarcano che i possibili scenari delineati potrebbero realizzarsi attorno al 2055, ma questo appuntamento potrebbe essere ritardato o addirittura anticipato di due decadi a seconda di diverse variabili economiche e sociali.  Pensiamo solo ai cambiamenti determinati dalla pandemia di Covid-19, la quale ha imposto una rivoluzione delle prospettive obbligando imprese, governi, lavoratori e famiglie a fare i conti con la propria limitatezza tecnologica, sia sul fronte strumentale sia su quello culturale. Questa esperienza ha mostrato chiaramente la necessità di un salto qualitativo in ordine alle infrastrutture tecnologiche e culturali e, dovrebbe metterci in guardia dai grandi rischi occupazionali conseguenti all’avanzare delle tecnologie digitali senza un’adeguata formazione.

Mai nella storia dell’umanità si sono manifestati cambiamenti così veloci e concomitanti. Avremo il tempo necessario per adattare il mercato del lavoro?

Se lo sviluppo della tecnologia appare esponenziale, altrettanto esponenziale dovrebbe essere lo sviluppo dell’intelligenza umana e di nuovi sistemi di apprendimento. D’altronde ciò che rende esponenziale la crescita tecnologica deriva pur sempre dalle persone e la grande opportunità della quarta rivoluzione per gli esseri umani può consistere proprio nella liberazione di intelligenza umana attualmente sprecata in attività che di fatto la limitano. Il dibattito non dovrebbe soffermarsi allora su quanti sono pessimisti e quanti ottimisti rispetto allo sviluppo della tecnologia. Se un grandissimo numero di cervelli lavorasse per produrre cose nuove o in modo più intelligente, potremmo risolvere un’enorme quantità di problemi che oggi ci affliggono. Lo sviluppo tecnologico potrebbe diventare allora il volano per lo sviluppo esponenziale dell’intelligenza umana e la Quarta rivoluzione industriale non avrebbe l’effetto di limitare la creatività e le possibilità umane ma, anzi, tutto il contrario.

 

 

Dal libro di A. Pasquarella e L. Garozzo, «Competenze e Formazione 4.0»