Un modo sbagliato per affrontare il problema dello Smart Working è quello di partire dal punto di vista del lavoratore. 

Qualche volta si tende a considerare questa modalità di lavoro come una sorta di facilitazione, di premio per il collaboratore, un modo cioè per agevolarlo e per consentirgli, attraverso la flessibilità, di migliorare complessivamente la propria vita lavorativa e non. 

Certamente molti lavoratori gradiscono lo Smart Working e, come sostengono le ricerche in psicologia del lavoro (Argentero, P., & Cortese, C.G. “Psicologia del lavoro”, 2018) , la percezione di benessere del lavoratore influisce positivamente sulla sua produttività. All’interno delle aziende tuttavia la produttività non dipende solo dai singoli ma è anche il prodotto dell’organizzazione che rende sinergici gli sforzi di tutti e li sintetizza in un risultato che va oltre i singoli sforzi. 

Qual è quindi la miglior scelta? 

Il modello basato sullo Smart Working in realtà è semplicemente uno dei modelli organizzativi applicabili in funzione delle scelte e delle valutazioni aziendali. Si tratta di considerare tale metodologia semplicemente diversa e non migliore o peggiore di altre. 

Una cosa però certa: fare efficacemente Smart Working comporta un cambiamento importante sotto il profilo

  • organizzativo 
  • digitale 
  • delle competenze (sia per i capi che per i collaboratori) 
  • della mentalità di capi e collaboratori.

Chi sceglie di andare verso lo Smart Working è consapevole quindi di dover cambiare molte cose. Altrimenti meglio fare marcia indietro.  

Il modello culturale dello smart working

Partiamo dalla cultura. Nel nuovo contesto al lavoratore viene chiesto di aumentare il suo livello di indipendenza e di concentrarsi sul risultato che deve conseguire. Egli perde la costanza del supporto dei capi (affidamento alla maggiore esperienza) e dei colleghi (soluzioni operative non note) di fronte alle piccole difficoltà quotidiane e deve mettere in atto opportune strategie per affrontare in modo autonomo anche problemi che, nel contesto dell’ufficio, vengono quasi immediatamente risolti. 

Dal canto loro i responsabili, da un ruolo di controllo e indirizzo delle attività, sono spinti a favorire la crescita in autonomia dei collaboratori in modo che possano operare con sicurezza in tutti i contesti per raggiungere gli obiettivi concordati. 

 Le competenze descritte non sempre sono già presenti e praticate nelle organizzazioni e richiedono un cambiamento culturale significativo che deve essere colmato. Ciò è possibile, oltre che attraverso ben studiati interventi di formazione, favorendo un clima aziendale volto all’affermazione di: maggiore competenza, autonomia, senso di responsabilità, intraprendenza, capacità di auto-organizzarsi, gestire il tempo e lo stress, risolvere problemi senza il supporto dei capi, prendere decisioni, assumere rischi.  

I cambiamenti organizzativi

 L’azienda dal canto suo ha la necessità di ridefinire i modelli organizzativi. L’attribuzione dei risultati agli uffici comporta infatti che i capi possano suddividere in tempo reale e in base alle necessità anche momentanee, i compiti di ciascuno e che possano costantemente monitorarli. E’ il capo a presidiare e garantire i risultati attesi senza peraltro sovraccaricare o sottocaricare i collaboratori. 

Nello Smart Working le funzioni dell’ufficio permangono, ma diminuisce l’intensità delle relazioni, la loro frequenza e il contesto nel quale si svolgono. Parallelamente si realizza una sorta di ridistribuzione di parte delle responsabilità che passano dai capi ai singoli collaboratori (maggiore accountability). Si passa insomma da un sistema basato sul “compito” a uno basato sul “risultato atteso”, non solo per i capi ma per tutti i collaboratori.  

Lo sforzo riorganizzativo, passando allo smart working, non è piccolo, se si vuole ottenere il massimo dell’efficacia, ed è aggravato dalle necessità imposte dalle trasformazioni digitali sia di carattere generale, che finalizzate alla nuova modalità di lavorare cooperativamente a distanza su informazioni condivise (digitalizzazione di procedure inserimento e addestramento di modelli e software).   

Insomma, per chi lo affronta, non è una scelta banale, ma un cambiamento importante sia per l’azienda che per i lavoratori, le cui conseguenze (nel bene e nel male) tendono a manifestarsi nel medio e lungo periodo. 

 

angelo.pasquarella@projectland.it