«Io credo», gli disse un giorno Boccadoro, «che un petalo di fiore dica e contenga molto più di tutti i libri dell’intera biblioteca… Talvolta scrivo una lettera greca, e girando appena la penna vedo la lettera che guizza; è un pesce, mi ricorda in un attimo tutti i ruscelli e i fiumi del mondo… Ebbene, Narciso, tu non dai molta importanza a lettere di questo genere, vero? Ma io ti dico: con esse Dio scrisse il mondo».

«Do loro molta importanza», disse Narciso con tristezza. «Sono lettere magiche: con esse si possono scongiurare tutti i demoni. Certo, per l’uso delle scienze non vanno. Lo spirito ama ciò che è saldo, formato, vuole poter essere sicuro dei suoi segni, ama ciò che è, non ciò che diviene, il reale e non il possibile»

H. Hesse, Narciso e Boccadoro

Razionalità ed emotività, ma anche regola e creatività. Questi binomi tanto cari alla letteratura e alle arti sono più che familiari per chiunque, nella realtà quotidiana, così come nella vita professionale.

In ogni contesto aziendale sentiamo però il richiamo a un comportamento razionale. Siamo spinti a riflettere e, come si suol dire, a usare il cervello. Suggerimenti certo utili, ma che trascurano una verità elementare: l’essere umano è una sintesi tra razionalità ed emozioni.

Da che Goleman ha introdotto il concetto di intelligenza emotiva nei primi anni ’90, si è pian piano diffusa una maggiore consapevolezza a proposito del capitale emotivo delle persone. Questa cultura così importante sta arrivando anche nelle aziende, anche grazie alla promozione della leadership emotiva, sempre da parte di Daniel Goleman.

Ma perché è importante che in azienda si diffonda una cultura dell’emotività?

La risposta è ovvia: siamo esseri umani anche in ufficio. Di conseguenza, con buona pace di quei capi che vorrebbero dei dipendenti robot, proviamo emozioni anche in orario di lavoro. E grazie al cielo, aggiungeremmo. Oltretutto è proprio nel mondo poco deterministico delle emozioni che nascono le più belle imprese: spesso i risultati si ottengono solo se l’individuo si mette in gioco, con entusiasmo e ideali.

La mancanza di empatia e di emotività incide notevolmente anche sul lavoro, non solo nella vita di tutti i giorni. Un collega introverso, burbero e maldisposto verso gli altri avrà più difficoltà ad ammettere di non capire o di non saper fare qualcosa e allo stesso tempo è probabile che accetterà di malavoglia aiuti o consigli. Con possibili ripercussioni negative sull’azienda intera.

L’eccesso di emotività o di sensibilità è egualmente pericoloso, motivo per cui è bene ribadire che coltivare il proprio capitale emotivo non significa diventare vittima delle proprie emozioni, significa coltivarle, comprenderle, accettarle e soprattutto gestirle.

Formare all’intelligenza emotiva

Questo patrimonio di intelligenza è essenziale oggi più che mai. Ai nostri collaboratori non chiediamo più di fare, di eseguire determinate operazioni, ma di partecipare a un’impresa, a un progetto, a un’idea che l’azienda intende portare avanti. Questa partecipazione richiede convinzione, motivazione, slancio, e talvolta anche sacrificio. Tutte cose che non sono governate solamente dalla nostra dimensione razionale.

Attenzione però che anche in questo caso l’eccesso di emotività o di sensibilità può essere pericoloso. Affrontare un progetto di lavoro bandendo la componente della ragione è la chiave per un disastro.

E quindi? Quindi orientare i programmi formativi verso l’intelligenza emotiva non può che portare giovamento all’azienda e agli stessi dipendenti. Largo dunque agli interventi formativi incentrati sulle competenze trasversali, che promuovono l’empatia, la motivazione, la creatività, l’autocontrollo e la consapevolezza di sé.

Le aziende dovrebbero poi impegnarsi nel promuovere la cultura emotiva anche al di fuori della formazione. In che modo? Ad esempio incentivando il feedback, non condannando l’errore, valorizzando il dialogo e, non ultimo, inserendo psicologi nel team di HR.

Quali sono i risultati concreti di una corretta gestione delle emozioni?

Una persona con un buon bagaglio di intelligenza emotiva ha maggiori doti di diplomazia e di intuito, riesce più facilmente ad essere pacata, ferma e assertiva, ha una forte propensione all’ascolto e grande attenzione al dettaglio.

Da un punto di vista professionale tutto questo porta benefici a livello sia personale sia sociale, vediamoli sinteticamente:

– Maggiore autocontrollo (se non mi faccio prendere dal panico o se non cado in preda alla rabbia ho più possibilità di portare a termine il progetto e sto anche meglio psicologicamente

– Maggiore consapevolezza di sé (se, razionalmente, ho coscienza dei miei limiti e del mio potenziale posso crescere di più e posso anche aiutare gli altri)

– Propensione all’innovazione (se ascolto, osservo, valorizzo la creatività e ho sufficiente motivazione per mettermi in gioco, ho maggiori possibilità di innovare positivamente)

–  Maggiore flessibilità (se ho la predisposizione mentale a rispettare e provare a capire le opinioni e le motivazioni altrui, ho meno difficoltà ad accettare il cambiamento)

– Migliore predisposizione alla negoziazione (provare a mettersi nei panni degli altri non è facile, ma può essere la chiave per uscire da una empasse)

– Maggiore collaborazione (ascoltare di più ed essere più attenti alla comunicazione non verbale dell’altro migliora la comunicazione e favorisce l’affiatamento del team)

– Miglioramento dell’ambiente di lavoro (un team e un ufficio dove l’empatia è un valore e in cui le persone sono serene genera benessere collettivo, aumenta la produttività e migliora la qualità del lavoro).

Non è semplice imparare ad essere più empatici e non è semplice governare le proprie emozioni, specie quelle negative. Ciò nonostante, diffondere una cultura dell’emotività è possibile e necessario, anche e specialmente nel contesto professionale.

 

Laura Garozzo e Angelo Pasquarella – Projectland