Il cambiamento ha da tempo tenuto banco nelle discussioni organizzativo/manageriali ed è stato il tema più proposto in Convegni, Articoli, Saggi e anche corsi di formazione. Grazie alla pandemia ha subito anch’esso mutazioni concettuali e di aggettivazione. Legato alla competitività delle Imprese era necessario, ineludibile. Legato al Coronavirus ha perso il suo lato positivo ed ottimista ed è divenuto forzato, alienante.

Di colpo, infatti, è accaduto che tutti abbiamo smesso di sentir parlare del “cambiamento” e lo abbiamo subito e sentito sulla pelle.

Ovviamente mi riferisco al cambiamento organizzativo, prevalentemente collegato alle modalità di lavoro e alle regole che presiedono il suo svolgimento, non certo alle dolorose conseguenze della pandemia.

L’offerta formativa in materia è tuttavia spesso caratterizzata dalla tendenza a ricercare un modello ideale per affrontare questa complessa problematica. Tale legittima tendenza a trovare gli elementi ricorrenti, che pure sono presenti in ogni processo di trasformazione, rischia di far apparire quanto discusso e appreso in aula come qualcosa di rigido e di difficile applicazione pratica.

La problematica del Change Management è stata spesso distinta in due elementi diversi, anche se inevitabilmente legati: l’Organizzazione e le Persone.

Il primo elemento racchiude l’insieme degli obiettivi anche commerciali, i processi di lavoro, i prodotti/servizi distribuiti, la tecnologia ecc. ….

Il secondo elemento, invece, si focalizza sugli impatti, l’adeguatezza quali/quantitativa, le competenze e skills vecchie e nuove.

Questo schema è tradizionalmente il più conosciuto e praticato, ma ha mostrato molti limiti ben prima della pandemia, poiché la distinzione tra i due elementi ha visto, anche per la maggiore velocità imposta dalla tecnologia, la prevalenza delle capacità delle persone a determinare il successo del cambiamento e quindi la necessità di renderle protagoniste ed attive artefici dell’innovazione.

In secondo luogo è necessario esaltare le specificità di ogni tipologia di trasformazione. Spesso le problematiche da affrontare sono molto diverse tra di loro e ciò finisce col richiedere approcci profondamenti diversi. Se il change management è imposto ad esempio da necessità impellenti, come nel caso di serie difficoltà industriali o finanziare dell’azienda, il modo di affrontarlo sarà profondamente diverso dal caso in cui l’azienda intenda strutturarsi a fronte di un obiettivo ambizioso da raggiungere o nel caso di ristrutturazione per fusione con altra impresa.

In forte sintesi quel che oggi necessita è la capacità di affrontare e produrre il cambiamento secondo una logica sistemica, innovativa e orientata dal pensiero laterale, che colga nei dettagli le specificità della situazione, coinvolga le persone e le renda protagoniste, abbandonando le tradizionali strade, anche negoziali.

Per questo penso siano utili interventi formativi volti più che a puntare alla condivisione di un modello ideale individuino le specificità di singoli contesti aziendali, mettano a confronto le diverse metodologie da impiegare e soprattutto le modalità di gestione degli aspetti che riguardano le risorse umane.

Essere capaci di far questo è la vera sfida che occorre saper vincere

Oliviero Bernardi
Consulente e Imprenditore
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